GENERE: NARRATIVA
C’è una leggenda che ricorda il tempo in cui le #fate di due terre confinanti s’incontravano all’alba in una verde conca ai piedi di un monte. Il prato, al tocco dei loro passi, si copriva di fiori. Fate italiane e fate germaniche. Tutte vestite di bianco, sorridenti, complici. Poi non più. Le fate italiane, spaurite, stanno nascoste dietro le pietraie, quelle di Germania, sedute sul confine, vestite di nero, le trecce disfatte sulle spalle, piangono l’antica amicizia perduta. Anche così si può parlare di guerra e di desiderio di amicizia tra i popoli. Sullo sfondo del Risorgimento, lo faceva Caterina Percoto attingendo al folclore. La sua voce viene da un sito eccentrico dell’Italia divisa: il Friuli, dove lei nacque e visse, che restò asburgico per gran parte della sua vita. Scrisse articoli e soprattutto novelle convenzionalmente catalogate nel filone della letteratura rusticale. E in effetti, i suoi personaggi sono saldamente piantati nell’ambiente campagnolo che la circonda, i paesaggi e le situazioni estremamente connessi al territorio, eppure quelle sue storie, all’ inizio lette in un ambito circoscritto e da pochi amici, riescono poi, con meraviglia dell’autrice, a diffondersi, a superare ampiamente il Lombardo-Veneto, a essere conosciute e apprezzate negli “staterelli” italiani distanti.
È come se gli scritti di Caterina coprissero un vuoto e i lettori fossero pronti ad accogliere cose nuove e scritte in modo nuovo, e tra queste cose nuove c’era la vita del popolo, di un ceto fin allora negletto dalla letteratura o contemplato nell’astrattezza. Il pubblico scoprì, leggendola, un Friuli prima misconosciuto e poi non più così estraneo. Conoscere e riconoscersi. L’Italia sognata delle novelle di Caterina trova eco in chi prova lo stesso sentimento a Venezia o a Padova; in Piemonte, in Toscana, in Emilia, a Roma, Napoli gli orrori della guerra che l’autrice ha visto da vicino coinvolgono e commuovono; commuove la povertà dei contadini friulani, anche chi vive nell’agiatezza; le rinunce e le costrizioni delle figure femminili dei racconti percotiani fanno scattare un senso di fraternità, di identificazione. E di ammirazione per alcune, che hanno la forza di non subire. E poi, come non amare certe figure “universali”, per esempio “Pre’Poco”, protagonista di una novella a cui va davvero stretta l’appartenenza al filone considerato minore dei racconti campagnoli. Vale la pena di leggerla ancora, la Percoto, e di conoscere da vicino la sua vita.
AUTORE: Edda Fonda, di origine istriana, laureata a Trieste in scienze politiche, ha svolto la sua attività professionale a Milano nel campo dell’editoria come ricercatrice iconografica e redattrice prima, poi come autrice. Giornalista pubblicista, ha scritto articoli di storia sociale e di medicina e società. Tra i suoi libri, le biografie di artisti Vincent Van Gogh e Odilon Redon edite da Fabbri editori; frutto di un lavoro di ricerca alla scoperta di figure femminili significative e poco conosciute. Il percorso umano e letterario di Beatrice Speraz per la Società istriana di archeologia e storia patria e Posso sempre pensare, storia di Leda Rafanelli, romanzo storico segnalato dalla XXVI edizione del premio Calvino. Sono presenti suoi contributi in opere collettive quali il Dizionario biografico delle donne lombarde, edito da Baldini Castoldi e Le donne nel movimento anarchico italiano, Mimesis edizioni.
PREZZO | 15,00 € | ||
ISBN | 978-88-32237-467 | ||
EDIZIONE | 10.2020 | ||
FORMATO | 145x210 | ||
PAGINE | 172 | ||
COPERTINA | MORBIDA | ||
PREFAZIONE | Elisabetta Feruglio, PhD Cambridge University UK |